Non so bene a chi si può chiedere, laicamente, di esaudire i propri desideri. Sono, ahimè, lontani gli anni in cui bastava scrivere una letterina in modo che Babbo Natale, la Befana, da qualche parte Santa Lucia, arrivassero di notte e alla mattina i desideri si erano belli che avverati (con il sorriso allusivo e soddisfatto di genitori e nonni). La magia delle feste di fine anno, con quel tanto di bilancio, con i buoni propositi, con i desideri espressi ed esauditi, si fa fatica a coglierla in questi giorni di isolamento e separatezza anche dagli affetti più cari, di incertezza sul futuro dal punto di vista del virus e delle vaccinazioni, ma anche da quello dell’andamento e delle prospettive della propria vita e della vita di tutti coloro che meriterebbero prospettive e, per l’appunto, qualche sogno che si realizza.
Perché qualche desiderio, per il nuovo anno alle porte ce l’ho davvero. Lo scrivo qui, sai mai che qualcuno ascoltasse e qualcosa potesse accadere nei mesi a venire.
Vorrei che il Molise diventasse un posto normale. Come ce ne sono molti altri, nemmeno troppo lontani da noi.
Vorrei che da noi si ricominciasse a vivere e progettare e praticare un’esistenza normale. Fatta di studio, di lavoro o di riposo, a seconda degli anni che la vita conta.
Vorrei un Molise dove andare a scuola non fosse un’avventura e non solo per via delle mascherine ma anche per i pullman vecchi che sono sempre meno che non passano mai ed in più costano non poco. Dove i plessi scolastici non venissero chiusi ed accorpati solo con l’intento di risparmiare, dove le scuole fossero ristrutturate e modernizzate, dove anche gli insegnanti avessero stabilità di impiego e di utilizzo ed allora mettessero il cuore, come solo loro sanno fare, nell’accompagnare i bimbi, poi i ragazzi, poi gli adolescenti ed infine i giovanotti e giovanette fin sulla soglia dell’università. Una università che davvero apre alla cultura ed alle prospettive professionali e occupazionali, dove si investe per una vita di successo e da protagonisti, senza l’angoscia, finito il percorso, di scappare via dal Molise per portare conoscenze e competenze dove meglio le sanno apprezzare.
Vorrei un Molise che accolga nel mondo del lavoro i nostri ragazzi. E non con i lavoretti, sfruttati e sottopagati, senza alcuna stabilità e prospettiva, ma con un lavoro sicuro, dal punto di vista della salvaguardia della salute e da quello della regolarità dei contratti e dei rapporti. Certo, di un lavoro così, pagato il giusto, tutelato e salvaguardato, avrebbero diritto tutti, anche gli ultracinquantenni che da anni tirano avanti ad ammortizzatori sociali, anche i tanti che un lavoro l’hanno perso ed anche l’indennità di disoccupazione è finita. Persone che hanno lavorato nell’edilizia che da noi è ferma da troppo tempo, nel turismo “bella addormentata” che mai nessuno, al di là dei proclami e scontando il covid, si è deciso a baciare e risvegliare, nelle tante attività commerciali che da presidio del territorio si sono trovate, e non solo per colpa dell’epidemia, trasformate in saracinesche chiuse. E che dire dei lavoratori dell’industria locale, quella poca che c’è, che di nuove tecnologie e di quattro punto zero sentono parlare in televisione, ma conoscono, anch’essi, incertezze di prospettive e prospettive aleatorie? E dei tanti che traggono dall’agricoltura e dalla trasformazione dei prodotti dell’eccellenza molisana un sostentamento, sanno quanto vengono loro pagati i prodotti, o le ore di lavoro nei campi, e conoscono anche i prezzi di vendita in negozio; qualche domanda se la pongono. Ed ancora: i dipendenti pubblici bistrattati e senza contratto da anni, che poi sono loro in corsia negli ospedali o dietro lo sportello a far fronte alle lamentele, spesso giustificate, dei cittadini. E quelli dei servizi, dalle banche alle poste, dagli studi professionali agli addetti ai trasporti, anche loro con l’incertezza della ripartenza, con l’assenza di un modello di sviluppo che assegni loro il compito di realizzare diritti, vedendo al contempo rispettati i propri.
Vorrei poi un Molise a misura dei nostri vecchi, e uso questo termine perché delle parole non si deve aver paura. Si deve, invece, aver paura della solitudine in cui spesso sono lasciati, tanto più in questi mesi di lontananza dei propri cari. E porre rimedio alla pochezza delle loro pensioni e alla inadeguatezza dell’assistenza che assicuriamo loro, con una medicina che si ritrae persino dagli ospedali, immaginiamoci dal territorio dove un’assistenza vera e propria non è mai stata realizzata. Sono gli occhi delle persone anziane quelli in cui si legge più chiaramente la preoccupazione per il futuro, ma anche l’incertezza in cui è dato vivere, anche a prescindere dalla tragedia degli ultimi mesi.
Ma perché il Molise diventi un posto normale, un luogo in cui i giovani possano pensare di costruire il loro futuro, gli adulti trovino nel lavoro la dignità e le prospettive di benessere per sé e per la propria famiglia, i più anziani riescano a trovare la serenità, c’è una pre-condizione irrinunciabile: la vita civile, la coesistenza di interessi diversi e l’equilibrio fra loro, la politica molisana devono ridiventare normali.
Per cui non l’arroganza di chi è arrivato, chissà per che percorsi, ad uno scranno che non vuol certo mollare, nemmeno le prove muscolari di un presidente “uomo solo al comando” che riesce a farci vergognare anche quando se la canta e se la ride (lui, in una regione dove molti, troppi hanno di che piangere), nemmeno l’indifferenza di quanti “io speriamo che me la cavo” e che aspettano che passi il virus, passi anche la bufera, e il Molise torni ad essere il luogo dimenticato da tutti dove gli affari e gli affarucci si compongono nella solita cerchia degli amichetti. Abbiamo, invece, bisogno di dialogo, di rispetto per le posizioni di ognuno, di un confronto costante, come le diverse parti sociali del lavoro hanno provato a fare nelle scorse settimane proponendo percorsi, idee innovative, modalità attuative che, da noi in Molise, ce le sogniamo. O, anche, come sono riusciti a fare tanti sindaci, qualche mese addietro, quando qui si dovevano cogliere le opportunità di speciali finanziamenti in arrivo da Roma (che, peraltro, stanno arrivando proprio in queste settimane). Confronto, ascolto, partecipazione, democrazia praticata davvero. Rispetto. Un po’ di umiltà da parte di chi comanda, un’ottica di servizio alla comunità, l’apertura mentale nell’ascoltare e nel recepire suggerimenti e suggestioni, la volontà di costruire progetti e di realizzarli poi, con ognuno che fa la propria parte e senza confusione e sconfinamenti. Ma progetti veri, piste di lavoro, speranza concreta per la nostra terra e le sue genti.
Questo il vero desiderio che, senza vergogna, metto qui davanti a tutti voi. Se torneremo un po’ più normali, il percorso collettivo tornerà ad essere meno tortuoso, la vita di ognuno meno problematica quando non angosciosa, il Molise continuerà ad essere il posto magnifico, dove la buona sorte ci ha fatto nascere e vivere.
Auguri ad ognuno e a tutti quanti. Il 2021 sarà un anno fantastico, se solo i molisani lo vorranno
Tecla Boccardo